a cura Monia Donateo – Polimeni.Legal
Le ultime due proposte della Commissione Europea, che hanno l’ambizione di creare “un’Europa adatta all’era digitale” e di rafforzare il mercato unico dei servizi digitali, sono il Digital Services Act (DSA) e il Digital Markets Act (DMA).
Mettere delle regole uniformi, così come avvenuto nel 2016 per la privacy, è un’esigenza stringente per le istituzioni Europee. Su questo fronte, si tratta dell’intervento più significativo nel mercato digitale dall’adozione, nel lontano 2000, della direttiva sul commercio elettronico.
Digital Services Act
Per quanto concerne il Digital Services Act, gli interventi riguarderanno principalmente i social network, le piattaforme di content sharing, app store nonché tutte le piattaforme di prenotazione che, come ben sappiamo, hanno acquisito un ruolo determinante e non assurgono più semplici community o portali.
Una volta che l’iter legislativo europeo arriverà al termine, le novità dettate dal Digital Services Act sembrano essere le seguenti:
- Nuovi sistemi di rimozione di contenuti illeciti che pongono il problema della “effettiva” conoscenza da parte della piattaforma, obbligandola alla rimozione del contenuto con conseguente responsabilità in caso di inerzia (dunque, palesemente in contrasto con l’attuale quadro normativo);
- Nuovo sistema di segnalazione di contenuti illeciti da parte degli utenti della piattaforma;
- Comunicazione trasparente agli utenti su come le piattaforme erogano i servizi di pubblicità online, la sua profilazione e perché mostrano i contenuti raccomandati. Fino al diritto all’opt out alla pubblicità personalizzata.
- Diritto a sapere perché la piattaforma ha bloccato un account, rimosso un contenuto o un post e a fare ricorso con facilità.
Digital Markets Act
Il Digital Markets Act punta a garantire mercati digitali più equi e aperti attraverso un intervento che “gioca d’anticipo” con una regolamentazione ex ante a pena di sanzioni certe (e salate!).
Ovviamente le regole sono rivolte ai big che incidono sugli equilibri di mercato e che quindi operano in più paesi dell’UE ed offrono il proprio servizio ad un numero cospicuo di imprese. Più precisamente i criteri per la designazione di un gatekeeper sono quantitativi (fatturato annuo SEE superiore a 6,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni, capitalizzazione di mercato media o valore equo di mercato equivalente superiore a 65 miliardi di euro nell’ultimo anno, attivo in almeno tre Stati membri, oltre 45 milioni di utenti finali attivi mensili nell’Unione e oltre 10.000 utenti aziendali attivi all’anno nell’ultimo anno).
La proposta, come detto, prevede già delle sanzioni precise, ovvero ammende fino al 10% del fatturato mondiale totale annuo dell’impresa e una penalità di mora fino al 5% del fatturato medio giornaliero. Le violazioni principali, per le quali esse verranno comminate, attengono a:
- divieto di discriminare i servizi offerti dai propri utenti business a favore dei propri servizi (peraltro già introdotto con il nuovo regolamento 1150/2019 entrato in vigore il 12 luglio 2020);
- obblighi di garantire l’interoperabilità con la propria piattaforma ad altre piattaforme concorrenti;
- divieto di impedire ai consumatori di mettersi in contatto con le imprese al di fuori della propria piattaforma;
- obblighi di condividere, nel rispetto delle norme sulla privacy, i dati che vengono forniti o generati attraverso le interazioni degli utenti commerciali e dei loro clienti sulla piattaforma dei gatekeeper.
Entrambe le proposte sono soggette alla procedura legislativa ordinaria dell’UE. Ciò significa che passeranno attraverso un lungo iter negoziale tra il Parlamento europeo e il Consiglio, che dovrebbe durare almeno un anno e mezzo e che, con ogni probabilità, comporterà numerosi emendamenti prima che venga raggiunto un compromesso definitivo. Una volta adottata, la legge entrerebbe in vigore sei mesi dopo la pubblicazione e sarà direttamente applicabile in tutta l’UE.